Maurizio Cattelan, con la sua “Comedian”, ha venduto una banana appesa a un muro per 6 milioni di dollari, sollevando un polverone mediatico che ha acceso una riflessione cruciale: l’arte contemporanea è diventata un gioco di speculazioni o un atto di vera provocazione intellettuale? La domanda che bisogna porsi non riguarda tanto l’opera in sé, ma chi la compra e come interpreta la sua funzione.
Cattelan è stato oggetto di pesanti critiche, ma il vero bersaglio dovrebbe essere il mercato dell’arte stesso, con il suo esercizio di svalutazione del significato e valorizzazione del banale.
Chi compra arte oggi non sembra più essere spinto dal desiderio di comprendere, di entrare in contatto con un pensiero, ma dalla brama di accumulare simboli di status. La banana, esposta in una galleria e venduta per una cifra astronomica, diventa così la manifestazione di un sistema che sa di essere provocatorio, ma si fa beffe di chi si crede di poterlo dominare. È il mercato che ha deciso cosa sia “arte” e chi ha i soldi, senza l’ acutezza per comprenderne il valore intrinseco, diventa parte integrante della commedia.
Lo spettatore, chiunque esso sia, è invitato a porsi davanti alla banana, a fissarla come una scimmia affamata. Non può mangiarla.
La banana è inaccessibile, preclusa dal contesto che ha scelto di esporla e di venderla a una cifra da capogiro. Un simbolo di desiderio irraggiungibile, come spesso accade nel mondo reale, dove in paesi poveri o in conflitto, le risorse sono lì, alla portata, ma impossibili da ottenere. Cattelan non sta solo mettendo in discussione il mercato, ma anche l’inaccessibilità e le disuguaglianze che ci circondano.
Eppure, questa “banana” ha avuto una sua funzione: ha fatto parlare, ha fatto riflettere.
E, in fin dei conti, un’opera d’arte che provoca discussione ha sempre avuto una sua utilità, al di là delle polemiche sul suo valore economico. Cattelan non sta solo facendo arte, ma mettendo in scena un sistema, una società che si guarda allo specchio senza riconoscersi. E chi compra senza capire è complice di quella riflessione.
La vera domanda è: quando guardiamo l’opera, siamo consapevoli di essere parte della commedia?
“Per me l’arte è vuota, trasparente: è un dispositivo per mettere in moto interpretazioni che appartengono a chi guarda. Alla fine sono gli spettatori a fare il lavoro degli artisti.”
Maurizio Cattelan